

Gazzetta del Sud del 21.12.08, di Vincenzo Toscano
GIOIA TAURO.
Mentre ci avviciniamo a due mesi dal "momentaneo" trasferimento a Scilla della Chirurgia di Gioia senza avere notizie concrete, nonostante i sopralluoghi di tecnici e di alti rappresentanti delle istituzioni, sulla data entro cui si potrebbe verificare il rientro del reparto nell'ospedale, registriamo una ricostruzione "storica" scaturita da un incontro con il padre fondatore del "Giovanni XXIII". È il prof. Giovanni Frisina, primo primario chirurgo dell'ospedale più moderno del comprensorio della Piana.
– Professore, vuole ricordarci le origini del nosocomio?
«Il presidio ospedaliero "Giovanni XXIII" , collocato geograficamente in un hinterland che ha il più alto indice di agibilità rispetto agli altri presidi dell'area dell'Asp 5., è stato costruito alla fine degli anni '60 su progettazione dell'architetto Filocamo, uno dei più famosi professionisti reggini, sul modello degli ospedali svizzeri. Ancora oggi rispecchia la più moderna tecnologia in materia di edilizia ospedaliera sanitaria. Attivato nel 1973 dal sottoscritto, quale direttore sanitario e primario chirurgo con la collaborazione di una équipe di medici tra primari e assistenti come ospedale di base, è stato il fiore all'occhiello della sanità nella Piana di Gioia Tauro in quanto dotato di 168 posti letto, sei divisioni medico-chirurgiche, quattro servizi specialistici più tutti i servizi di base. Dopo pochi mesi dalla sua apertura al pubblico la sua attività aveva raggiunto un notevole successo: 6000 ricoveri, 2000 interventi chirurgici e 50.000 degenze all'anno. L'emigrazione sanitaria era ridotta a meno dell'1% e limitata alle patologie di altissima chirurgia».
– Secondo lei come si è arrivati al declino?
«La parabola discendente ebbe inizio con l'avvento delle Usl, raggiunse il fondo con l'accorpamento all'Asl 10 di Palmi e ora il colpo di grazia con l'Asp 5. Le divisioni di base sono state disattivate per grave negligenza dei dirigenti. Le cause di tale parabola discendente sono numerose, ma tutte ben note e individuabili in un'irrazionale politica sanitaria di smantellamento. Tutto questo ha portato alla chiusura prima di ostetricia e ginecologia, poi pediatria e successivamente cardiologia, medicina, ortopedia e traumatologia. Per guasti mai riparati alle attrezzature di diagnostica sono stati chiusi i servizi di endoscopia digestiva e di senologia. I responsabili sanitari del presidio ospedaliero di Gioia Tauro, che già prevedevano il progressivo degrado, dopo aver fatto presente con reiterate richieste, agli amministratori del tempo, di personale medico e paramedico, di attrezzature sanitarie e relativo materiale di consumo di sala operatoria senza ricevere alcuna risposta, si sono visti costretti ad inoltrare anche esposti–denuncia alla Procura della Repubblica per omissioni nei provvedimenti di competenza».
– Quale nesso tra vecchi ospedali e il nuovo in fase di progettazione?
«Occorre essere concreti e prendere atto della gravità in cui versa la sanità nella Piana, proponendo un programma integrato che a medio termine assicuri un'idonea assistenza sanitaria lasciando a lungo termine la progettazione dell'ospedale nuovo. Solo quando questo ospedale sarà realizzato si valuterà se la struttura sarà dotata di tutte le caratteristiche e dei servizi necessari per un'adeguata assistenza sanitaria a tutti i cittadini utenti della Piana. Solo allora si renderà utile chiudere i vecchi ospedali in toto o riconvertirli. Resta comunque un obbligo imprescindibile che, nelle more della costruzione dell'ospedale nuovo, bisogna garantire il diritto alla salute, oggi messo ad alto rischio. In questa ottica si rende indispensabile la riattivazione del presidio ospedaliero di Gioia Tauro, che ha tutti i requisiti strutturali per ritornare ad essere un ospedale di base esemplare con tutti i reparti ed i servizi che sempre ha avuto e continuare ad assistere i pazienti della Piana, in particolare tutte le vittime affette da patologie traumatologiche da incidenti sull'autostrada e nel porto di Gioia Tauro».
– Quanto tempo ci vorrebbe, a suo parere, per riportare il "Giovanni XXIII" in piena attività?
«Se effettivamente lo si vuole, si può riattivare il presidio nel giro di qualche mese e non sarà cosa difficile per chi di managerialità sanitaria se ne intende, nel rispetto delle ragioni dei cittadini delle quali si sono in queste settimane fatti lodevolmente interpreti vari movimenti civici e partiti».